martedì 28 febbraio 2023

Vita di trincea

Perché si diceva “SCEMO DI GUERRA”?

Nelle guerre di trincea, soprattutto nel primo conflitto mondiale,  molti uomini svilupparono malattie mentali durante la guerra o appena tornati nelle proprie case (per questo in Italia si usava l’espressione “scemo di guerra”). Le trincee sono state uno dei simboli della Prima Guerra Mondiale e sono le tracce più significative tra il 1915 e il 1918; furono la «casa» dei soldati, il luogo dove i militari impegnati al fronte vissero per settimane (se non addirittura mesi) tra una battaglia e l’altra. I vari governi europei, compreso quello italiano di Salandra insieme al generale Luigi Cadorna, erano convinti che si sarebbe trattata di una guerra veloce in cui era essenziale sfruttare il fattore temporale. Invece, la guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione, infatti i diversi fronti europei si stabilizzarono ed iniziarono ad essere scavate centinaia di chilometri di trincee, dal nord della Francia fino all’Europa orientale, nell’attuale Polonia e nei Balcani. Comparvero anche sul fronte italiano, in pianura, sull’alto piano carsico e in alta montagna, in mezzo alla neve.

Ma come si viveva in trincea?

La vita era difficile e si verificavano molti appostamenti in alta montagna, a oltre 3000 metri d’altezza, anche nei pressi dei ghiacciai.
La preparazione dell’esercito fu assolutamente insufficiente. Nessuno, all’inizio, spiegò ai soldati italiani di restare accovacciati nelle trincee e di non sporgersi. La trincea necessitava di una continua manutenzione per rimediare ai danni provocati dalle intemperie e dal fuoco nemico. In prima linea vivevano i soldati, in condizioni disagiate, dormivano in alloggi sotterranei, spesso infestati da topi e pidocchi e cercavano disperatamente di rimanere vivi. Gli assalti erano i momenti più temuti. I soldati venivano richiamati all’azione dal fischietto di un ufficiale, si lanciavano correndo verso le postazioni nemiche, nel tentativo di conquistarle. Molti soldati, nel primo anno di guerra, combatterono con in testa dei semplici berretti, certamente insufficienti a fermare le pallottole sparate dalle trincee nemiche o dai cecchini.
I vestiti di lana era pochi e le scarpe erano inadatte per resistere al fango o al terreno pietroso del Carso o delle montagne.

Come si mangiava in trincea?

L’alimentazione era uno dei grandi problemi sia per la popolazione civile che per i militari. Le famiglie furono vittime di carestie e di malattie dovute a carenze alimentari gravi, mentre il rancio dei soldati diventava ogni giorno più esiguo e scadente.
I pasti venivano cucinati nelle retrovie e trasportati durante la notte verso le linee avanzate. La pasta o il riso, contenuti nelle grandi casseruole, arrivavano in trincea come blocchi collosi; il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il pane erano duri come pietre. La qualità era scarsa, ma, a differenza del rancio austro-ungarico (molto più scarso), l’esercito italiano forniva ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta (o riso), frutta e verdura (a volte), un quarto di vino e del caffè. L’acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno. In prima linea la quantità era leggermente superiore. Prima degli assalti inoltre le dosi erano più consistenti con l’aggiunta di gallette, scatole di carne, cioccolato e liquori. Molte erano le malattie infettive come dissenteria, tifo e colera e numerose erano quelle provocate da parassiti. I cadaveri spesso rimanevano insepolti e ancora oggi, in occasione di scavi lungo le linee del fronte della prima Guerra Mondiale, vengono rinvenuti dei corpi.

Sicuramente la guerra non si spiega tra le righe di un giornale, nessun articolo può descrivere realmente l'angoscia e la paura soffocante che accompagna quotidianamente la vita di un soldato. Ma un soldato al fronte per cosa combatte? Per cosa muore? Per la patria? Per essere un eroe di guerra? O soltanto perché è un gioco sporco tra le potenze mondiali? La guerra, per qualunque motivo nasca, sia che si vinca, sia che si perda non dovrebbe essere mai fatta perché porta soltanto dolore, morte, distruzione e non è la soluzione dei problemi.

Auron e Fabio 3B         illustrazione: Mirko 3B
 

martedì 7 febbraio 2023

Rischi, precauzioni e buon comportamento online

 

 Il problema del cyberbullismo è aumentato anche a causa della pandemia, passando da 28 vittime del 2019 a 52 nel 2020 (fonte rainews.it).  Nei casi più gravi questi comportamenti offensivi e vessatori possono portare alle estreme conseguenze cioè al suicidio. Nel 2021 Carolina, una ragazza bolognese, si suicidò lasciando una lettera di addio su cui c’era scritto: “ spero che adesso sarete più responsabili con le parole “.

Le parole sono importanti e interagire sul web nel modo giusto richiede il rispetto di alcune regole,  per questo è stato interessante affrontare a scuola il tema della netiquette .

È stato interessante scoprire il galateo su internet, la buona educazione che usiamo giornalmente dovrebbe essere attuata anche sul web , bisognerebbe rispettare gli altri, comunicare in modo chiaro evitando fraintendimenti e reazioni indesiderate .

Non trovandosi di fronte all’interlocutore molti utenti ne approfittano insultando o discriminando gli altri, pensando di essere “protetti dalla tastiera”. Con la tecnologia si potrebbe essere fraintesi più facilmente, ad esempio quando si scrive in caratteri maiuscoli può sembrare che siamo arrabbiati e stiamo urlando o casi in cui usiamo degli acronimi di cui non tutti conoscono il significato.

Un’altra problematica è legata all’attendibilità di alcune notizie. Nel lavoro di tutti i giorni ci capita di dover reperire informazioni in rete, alcune potrebbero essere inesatte o non aggiornate perciò è opportuno sottoporre ogni singola notizia ad un accurato esame critico: bisogna accertarsi sulla credibilità dell’autore, sulla data di pubblicazione e verificare che l’informazione sia sufficientemente accurata. Anche le immagini hanno la propria regolamentazione. Prima di pubblicare una foto o un disegno dovremmo verificare che non siano coperti da diritto d’autore o dal copyright. Bisognerebbe tener conto della privacy di ognuno evitando la pubblicazione di foto non consenzienti, la privacy protegge la propria riservatezza e ci difende dai comportamenti invadenti. Il mondo online è una grande risorsa che offre divertimento, possibilità di conoscenza e di recepire preziose informazioni ma bisogna sempre tener conto delle buone maniere, usando i social in modo intelligente e soprattutto senza causare danni agli altri.

Beatrice 3B                                  illustrazione:  Eva 3B

mercoledì 1 febbraio 2023

Basket: uno sport inclusivo





Ho scelto il basket, anche se per praticarlo bisogna recarsi a Cassino, per via della mia statura e anche perché l’ho apprezzato in Tv. Ho scelto la società Cassino Basket iscrivendomi alla categoria under 13.
Gioco da circa un mese e già mi rendo conto dei valori positivi di questo sport, vengo inserito regolarmente in partita per un quarto (cioè uno dei quattro tempi della partita).  Per me il basket è uno sport che differisce dagli altri per molti motivi. E’ particolare, poiché, nonostante si usi la palla come in altri sport,è  diverso per l’utilizzo che se ne fa. E’ diverso anche per l’atmosfera, lo spirito d’aggregazione e inoltre incoraggia i nuovi arrivati a collaborare con la squadra. Certo che bisogna fare anche i conti con la fatica, in quanto attraversare il campo durante la rimessa richiede tempestività, cioè entro i 24 secondi stabiliti dal regolamento. Occorre applicare bene il gioco di squadra per fare canestro, bisogna cercare il compagno per i “dai e vai”, per il “terzo tempo” e per i “tagli”. Anche nella fase difensiva il gioco di squadra è importante: per esempio, se vengo superato dall’avversario, il mio compagno potrà difendere lasciando la propria marcatura accorrendo sotto canestro.
La tifoseria è un altro aspetto positivo: se nel calcio c’è il fenomeno degli ultras che sono inclini a modi incivili, nel basket è minimizzato a pochi casi isolati e le distanze ravvicinate con i giocatori rendono possibile un tifo attivo, cioè che si manifesta sia con l’incitamento che con i consigli.
Queste prime esperienze in questo mondo, anche se tra alti e bassi, vittorie e sconfitte, le sto apprezzando. Spero che un giorno giocherò a basket in modo professionistico.
 

Lino 2A